le origini

 

 

 

 

Alla lettera "cacciabecchi", affibbiato agli abitanti di Ludiano pare riferirsi a un regolamento patriziale che proibiva il libero pascolo delle capre su tutto il territorio di Ludiano, per cui capre e becchi provenienti dall'esterno  ( in particolare da Corzoneso e Semione ) venivano prontamente e implacabilmente scacciati, a tutela dei fondi coltivati e delle selve castanili locali.

La storia del carnevale


di Marco Cittadini

Fin dai tempi remoti qualcuno aveva importato l’usanza di festeggiare il carnevale. Non fu mai stato apprezzato dalla gente che contava perchè era una pratica considerata amorale.  Alcuni anziani raccontavano che quando erano giovani facevano gruppi di ragazzi e giravano per le case del villaggio durante la sera del carnevale, portando in un gerlo un pupazzo chiamato "Campei"; ognuno aveva un campanaccio e in ogni casa facevano auguri e auspici di prosperità elencando i bisogni del pupazzo. Erano richiesti uova, zucchero e vino. Se la questua aveva successo i partecipanti si riunivano in qualche casa, dove c’era una persona che trasformava il tutto in uno squisito zabaione. Per molti era un lusso che non capitava sovente.
Poi l’usanza fu abbandonata perché la crisi vera (non quella dei nostri tempi) aveva fatto passare la voglia di divertirsi.
Solo al termine della seconda guerra ci fu un ritorno al desiderio di fare un po’ di festa, così il carnevale fu rilanciato.
Il tutto nei nostri villaggi consisteva nel preparare un falò il più grande possibile, il materiale era abbondante e anche i volontari non mancavano. In un punto scelto si innalzava un palo o magari un giovane abete intero. Degli addetti portavano arbusti di ginepro che si andava a tagliare nelle selve, nei campi c’erano le canne del mais ormai vecchio e i proprietari erano contenti di questo aiuto insperato. Se il tempo si manteneva almeno un po’ asciutto il falò veniva acceso e per qualche ora si stava sul luogo, cantando fra il frastuono dei campanacci.
Era un povero divertimento paragonato ai tempi odierni. Giravano veramente poche maschere.
Finalmente, verso il 1950, tre amici decisero di lanciarsi costituendo il reame di Re Ronc Zora, nome d’una selva nella zona di Valè.
Il Gio si autonominò Re. Era un ruolo che gli si addiceva; di aspetto fisico idoneo al ruolo, era capace di inventare pantomime e satire che raccontava a getto continuo.
I ministri erano il Mario e il Milo. Avevano scelto dei bei costumi. Negli anni seguenti molti aderirono al gruppo e si organizzarono per fare il primo pranzo in comune. L’avvenimento si celebrava al centro del villaggio, per alcuni anni, dove si sistemavano tavoli, panche e la cucina da campo.
Con un po’ di musica attorno all’immancabile falò la gente si divertiva molto e partecipava al divertimento.
Un anno il terreno era ancora coperto di neve, il Cech mise a disposizione un suo fabbricato con una grande tettoia dove poter celebrare il carnevale. Da quel giorno la sede del carnevale rimase in quel luogo per molti anni e divenne un avvenimento che tutt’ora attira molta gente anche da fuori paese. 




di Ivana Ferrari

…. E così fino al Carnevale 1963.
Questa volta non fu colpa della crisi e nemmeno di una probabile III guerra mondiale, ma, del satirico ECO DI RONC ZORA che, nei sudditi procurò un clima di ribellione dichiarando guerra allo staff di giornalisti e il boicottaggio di qualunque manifestazione.
Nel 1971 alcuni nostalgici Cascia Bòsc, con alla testa il Silvano, cospargendosi il capo di cenere, mogi mogi inoltrarono domanda per riprendere questa usanza di festeggiare a Carnevale; certi di aver già scontato abbastanza per il pasticciaccio provocato.
Il Re Ronc Zora dall’esilio e i sudditi acconsentirono; clausola: ridurre l’ECO DI RONC ZORA a mo’ di bollettino parrocchiale.
Con la disponibilità di Cech, si poté usufruire della grande tettoia riparata dal freddo con teloni per pareti. Così, verso le 18.00 tutti si sono gustati uno squisito risotto e luganighetta. Nel pomeriggio, complice il bel tempo, ci furono divertimenti per grandi e piccini (albero della cuccagna, ruota della fortuna, tiro degli anelli, …). Poi seguì il discorso di Re Ronc Zora (Giô) che, per colpa degli svariati anni di esilio forzato si era nel frattempo arrugginito al punto  che, per l’anno seguente dovette abdicare. (Nei 43 anni a seguire si sono poi “succeduti” molteplici coppie di regnanti). All’imbrunire il tradizionale falò riscaldò per tutta la notte la piazza della fiera.
Così di anno in anno (sempre con il permesso del Cech) sotto la tettoia si sono applicate pareti di legno stabili che hanno reso il locale molto accogliente, si sono resi agibili tre locali comunicanti allo stallone annesso, è stato realizzato all’interno un servizio WC. Per quasi trent’anni si poterono festeggiare bellissimi Carnevali. Ma non solo, anche serate con tombola, balli, pranzi anziani, proiezioni di film nostrani, gare di scopa, assemblee varie, pranzi e banchetti di matrimoni, cene aiutanti, ecc. ecc.
L’Eco di Ronc Zora ha continuato a crescere ed esce regolarmente quasi tutti gli anni in anticipo alle manifestazioni per creare gli umori di circostanza    !!! Malgrado le promesse fatte (con tanto di cenere), tra una pagina e l’altra può capitare che s’infiltri qualche articolo o frecciata che potrebbe magari scottare e bruciare l’interessato procurando scintille. Però, tutto sommato, sono fuochi di paglia destinati a spegnersi dopo una buona dormita. In generale i sudditi aspettano con ansia l’ECO, bramosi di sapere le comiche e le cronache dei fatti degli altri successi durante l’anno. Ognuno sperando di non essere presi di mira personalmente.
Dall’inizio del nuovo millennio le manifestazioni del carnevale si svolgono nell’area di svago, essendo stato lo stallone-capannone trasformato in casa primaria.